Nel giorno in cui governo e sindacati si trovano invischiati nella sentenza di Pomigliano, una nuova attestazione di stima per Marchionne arriva dall'altro lato dell'Atlantico, da quegli Stati Uniti in piena campagna elettorale e dove il manager italo-canadese è un convinto sostenitore del presidente uscente.
Proprio Obama ha rilasciato ieri uno spot pubblicitario che cita direttamente le parole di Marchionne per smentire una boutade del candidato repubblicano Mitt Romney. Jeep, che fa parte del gruppo Chrysler ora controllato da FIAT, dovrebbe essere rilocalizzata in Cina abbandonando la storica fabbrica dell'Ohio? Niente affatto, smentisce Marchionne stesso, e la campagna del presidente democratico si affretta a rilanciare il messaggio per allungare ancora proprio in Ohio, guarda a caso uno degli "stati-chiave" dell'elezione.
Possibile che in America, patria del liberismo finanziario e del "guai a intervenire in economia", la scelta di una compagnia privata possa diventare l'ago della bilancia in una campagna elettorale presidenziale?
Proprio Romney poi è quello che metterebbe dei paletti, accusando Obama di aver svenduto la Chrysler "agli italiani", primo passo dello smantellamento di un bene nazionale come l'automobile.
In Italia invece il governo (tecnico) fatica a trovare una posizione (politica) con cui dialogare, se possibile, con FIAT, e anche le varie opposizioni si trovano chiuse dal ricatto dell'azienda torinese: noi produciamo in Italia a un costo del lavoro svantaggioso, almeno fateci fare come vogliamo nelle fabbriche.
Un'Italia più liberista degli USA, insomma, che fatica a trovare il bandolo della matassa e che francamente sembra essere presa da tutt'altre polemiche. In attesa di svegliarsi e di vedere un premier bussare al Lingotto con il cappello in mano.
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