L'ultimo film di 007, Skyfall, è tutto sommato un ottimo film, nel suo genere. Questo è, perchè ormai 007 è un genere a sé, un film tutto suo diverso dall'azione all'americana o da altre esperienze cinematografiche.
Skyfall non fa eccezione: è un classico. Grande azione, scene rocambolesche, scazzottata iniziale prima dei titoli di testa e lotta all'ultimo sangue prima dei titoli di coda. Grande humor, britannico, of course, e ridondante passione per il vintage, che di questi tempi tira molto: che dire della Aston Martin del fu Sean Connery, ora guidata da Daniel Craig?
Il film si rinnova nel suo classico. Emblematico il destino di una delle Bond-Girl, la afro Emy, che alla fine del film si ritrova dietro una scrivania con il ruolo di Monypenny, che negli ultimi film aveva un po' latitato.
Tutto uguale? Quasi. Una grande novità c'è: è il Bond meno misogino di sempre. A parte Judi Dench, che nel ruolo di M recita una parte mai avuta in nessun altro film della saga, ma anche le due Bond-girl sono oggetto di un approfondimento del personaggio sconosciuto solo ai tempi di Pierce Brosnan, figuriamoci di Licenza di uccidere. Una sola scena di sesso e pudicamente celata, nessuna donna che cade tra le braccia di Craig mentre lui si allaccia una scarpa e tanto tanto flirt. Alla pari.
La mano del regista Sam Mendes si riconosce soprattutto per le atmosfere un po' dark un po' gothic del finale; emblematico il cervo che staziona sul cancello della magione scozzese, che fa tanto Harry Potter.
Innumerevoli le citazioni ed i rimandi, ad altri film della serie ma anche alla storia e alla cultura britannica. Come ogni James Bond che si rispetti, rischia ogni tanto di scivolare verso la "sindrome di Rambo", ad esempio quando Bond "casualmente" trova, sul tetto di un treno in corsa, proprio la catena che cercava per pestare il cattivone di turno. Ma se non fosse così, non sarebbe James Bond.
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