La notizia del giorno, che secondo me sta passando un po' in sordina, almeno nel campo delle scienze e nuove tecnologie, è l'annuncio del governo giapponese di Yoshohiko Noda di rinunciare definitivamente all'energia nucleare, avviando un percorso di "denuclearizzazione" che prevede la chiusura completa delle centrali entro il 2040.
La decisione indica soprattutto 2 cose: anzitutto la forza dell'opinione pubblica e delle fortissima pressione sul governo seguite all'incidente di Fukishima, ma allo stesso tempo la lungimiranza e la validità di una classe politica che ha preferito prendere questo tipo di decisioni a sangue freddo, cercando di non farsi coinvolgere dall'onda emotiva legata al disastro nucleare.
Già nel 2011 il Giappone infatti aveva interrotto la costruzione di nuove centrali e iniziato un percorso di revisione del modello energetico, ma di addio al nucleare il governo non ne ha voluto sentir parlare: troppo importante quel 30% del fabbisogno energetico nazionale attualmente coperto dall'atomo.
Fino ad ora.
A più di un anno di distanza il governo ha imposto una correzione della rotta che non vuol dire marcia indietro o peggio fuga dai rischi, ma la ricerca di un modello alternativo di energia che è sempre più possibile e pensabile.
Il Giappone si unisce quindi al ristretto numero di paesi (gli altri per ora sono Svizzera e Germania) che dopo aver giovato dell'energia nucleare, e conosciutine i rischi, preferisce dire: "No, grazie".
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