Invidia? Snobismo? Semplice mania di andare contro tutti e contro tutto, sempre e comunque?
Queste sembrano le motivazioni che spingono Beppe Grillo, nato contestatore, diventato comico e ora fattosi politico e vate, a scagliarsi contro le Olimpiadi di Londra.
I Giochi sarebbero il trionfo del nazionalismo, di sport semisconosciuti e l'occasione per atleti sopravvalutati per mettersi a posto per tutta la vita.
Se l'accusa di nazionalismo si può anche comprendere e, a tratti, condividere, l'ironia con cui le discipline olimpiche vengono accostate alle freccette da bar e alle bocce non suscita riso nè condivisione.
Perchè non considerare il palcoscenico olimpico come l'unica occasione, per gli sport "cosiddetti" minori, per sganciarsi dal predominio del dio-pallone e godere di qualche giorno di notorietà?
O come non ammirare le personalità di questi atleti che prima di essere superstar alla Bolt sono uomini, donne, madri e padri, figli e fratelli?
Le Olimpiadi, come tutto del resto, finiscono per essere uno specchio del nostro tempo, consegnandoci sì l'arroganza delle multinazionali che addirittura "brevettano" il nome stesso di Londra 2012, ma anche le storie di Valentina Vezzali e Iosefa Idem, capaci di confermarsi anche dopo una gravidanza, di Jessica Rossi, che ha lasciato la famiglia nelle tende dei terremotati per andare a Londra a vincere l'oro nel "semisconosciuto" tiro al piattello, di Tania Cagnotto, stregata ancora una volta da pochi, pochissimi centesimi di punto.
Questo solo per limitarci ai "nostri", nazionalistici atleti. Allargando il campo arrivano altre storie: Oscar Pistorius, che ormai conoscono tutti, oppure Aisuluu Tynybekova, wrestler kirghiza "costretta" a vincere l'oro per pagarsi un avvocato che la difenda dall'accusa di omicidio che l'aspetta in patria.
Ogni volto, ogni gesto, nasconde una storia, un uomo e un individuo. Caro Grillo, stavolta hai preso un granchio.
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