08 ottobre 2012

La tigre senza denti

L'avevano soprannominata la Tigre Celtica, un'epoca felice in cui il tasso di crescita dell'Irlanda rivaleggiava con quello di paesi come Taiwan, Corea del Sud e Malaysia. 
Poi sono arrivati i sub-primes, la crisi delle finanze europee e anche Dublino si è accorta di dover stringere la cinghia: da rampante felino, l'isola verde si è trasformata in un pezzo di sud-Europa alla periferia del continente. Ormai si parla di PIIGS, ovvero Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, ma anche maiali.
Quest'anno è il quarto dall'inizio della tempesta, e dall'adozione delle solite misure di austherity somministrate anche ai greci e ai portoghesi. Dublino sembra reagire meglio delle economie latine alla "cura-Merkel", ma questo non vuol dire che la gente stia meglio. Anzi.
Con il passaggio della crisi dalla finanza internazionale (e virtuale) ai portafogli (concreti) della gente, l'Irlanda ha riscoperto un fenomeno che sembrava aver dimenticato: l'emigrazione.
Da gennaio ad aprile di quest'anno sono 87 mila gli irlandesi che hanno lasciato casa, quando erano stati non più di 80 mila in tutto lo scorso anno. L'Irlanda, che era stata essenzialmente un bacino di emigrazione almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale, negli anni '90 e 2000 aveva attratto numerosi investimenti e personale qualificato: una sorta di Inghilterra green e tecnologica, con il vantaggio di far parte della zona Euro. I "nuovi irish" provenivano non solo dall'Africa o dall'ex blocco sovietico, ma soprattutto da altri paesi europei come Italia, Spagna e Francia.
Oggi il trend si è invertito. Chi può torna alla vita di prima, compiendo a ritroso un viaggio di speranze e dolori. Gli altri cercano fortuna nelle stesse terre dei loro trisnonni: New York e Toronto, oltre che Londra, sono le nuove mete dei giovani irlandesi. Nuove soltanto per questa generazione.

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